Gli aminoacidi neutri migliorano l’aderenza dei pazienti al trattamento dietetico e in futuro potrebbero associarsi a una parziale liberalizzazione della dieta
La fenilchetonuria (PKU) ereditarie ad essere diagnosticata, nel 1934, dal medico norvegese Ivar Asbjorn Folling. È una patologia genetica rara e potenzialmente severa, le cui cause non sono ancora totalmente note (tossicità dell’aminoacido fenilalanina nel sangue, deficit di tirosina e conseguente danno neurotransmettitoriale nel liquido cefalorachidiano), e ha come conseguenze cliniche gravi danni neurologici e ritardo mentale. Il trattamento standard per la malattia è un’impegnativa e complessa dieta da seguire per tutta la vita, a basso contenuto di fenilalanina (sostanza contenuta praticamente in tutte le fonti proteiche normalmente assunte con la dieta umana) e integrata con sostituti proteici privi di questo aminoacido.
Se è vero che con la dietoterapia, unitamente a una corretta supplementazione proteica, la malattia può essere tenuta sotto controllo ottimale, non è raro che i pazienti adulti, con il passare degli anni, possano mostrare una progressiva scarsa aderenza alla terapia, che può portare a conseguenze estremamente gravi. Per questo motivo è fondamentale continuare a sviluppare opzioni terapeutiche per il trattamento della PKU.
“Tra le opzioni terapeutiche recentemente proposte – spiega il prof. Alberto Burlina, direttore della U.O.C. Malattie Metaboliche Ereditarie dell’Azienda Ospedaliera – Università di Padova – va segnalato l’uso degli aminoacidi neutri (large neutral amino acids, LNAA) in associazione alla terapia dietetica. Questi prodotti contengono elevate concentrazioni di tirosina e di aminoacidi ramificati che possono esercitare una particolare azione in grado di ridurre i livelli cerebrali di fenilalanina e aumentare i livelli di tirosina di per sé ridotti in questa patologia.”
Un importante contributo alla conoscenza degli LNAA è stato fornito dagli studiosi italiani: un esempio sono i lavori pubblicati nel 2019 e 2020 sulla rivista Nutrients proprio dallo staff del Prof. Burlina. I partecipanti allo studio erano pazienti dai 19 ai 38 anni, selezionati a causa della loro persistente scarsa aderenza alla dieta e per il loro rifiuto di assumere integratori con una miscela di aminoacidi. Tutti i pazienti, per un periodo di 12 mesi, hanno integrato alla terapia dietetica un prodotto LNAA a lento rilascio assunto tre volte al giorno (colazione, pranzo e cena) alla dose di 1 grammo per kg di peso corporeo. Il prodotto, in formulazione microgranulare, conteneva tutti gli aminoacidi e utilizzava l’alginato di sodio come vettore idrofilo per prolungarne il rilascio; il fabbisogno proteico totale, dunque, era fornito fino all’80% dagli LNAA, e il resto dal cibo naturale. Tutti i pazienti hanno completato il periodo di trattamento, con monitoraggio dei livelli di fenilalanina (Phe) e tirosina (Tyr), e del rapporto Phe/Tyr.
“Complessivamente l’aderenza alla terapia con le nuove compresse di LNAA è risultata molto buona – ha spiegato l’esperto – soprattutto rispetto a quella mostrata con una precedente miscela di aminoacidi, della quale i pazienti si erano lamentati per il sapore sgradevole. I risultati dello studio hanno rivelato che sebbene i livelli di Phe fossero rimasti invariati, quelli di Tyr erano aumentati; di conseguenza, il rapporto Phe/Tyr era diminuito significativamente nella maggior parte dei pazienti trattati. Ciò ha dimostrato il potenziale di questi prodotti per migliorare l’aderenza dei pazienti al trattamento.”
Rimaneva però ancora aperta una questione, ovvero se il trattamento con gli LNAA richiedesse o meno l’abbinamento a una dieta naturale a ridotto contenuto proteico. A rispondere al quesito è stato uno studio pubblicato nel 2022 sulla rivista Molecular Genetics and Metabolism da un gruppo di ricercatori dell’Università di Groningen (Olanda).
Lo studio è avvenuto sui topi affetti da PKU, che sono stati divisi in due gruppi sperimentali: alcuni hanno ricevuto un trattamento con LNAA in abbinamento a una dieta senza restrizioni relativamente all’apporto di fenilalanina, altri in associazione a una dieta semi-ristretta. Dopo dieci settimane sono stati raccolti campioni di plasma e tessuto cerebrale per misurare le concentrazioni di aminoacidi e monoammine.
“Come hanno riportato gli studiosi olandesi, il trattamento con LNAA (associato a una dieta normale, senza restrizioni nell’assunzione di alimenti contenenti fenilalanina) è risultato paragonabile a una dieta ferrea con restrizione di Phe per quanto riguarda le concentrazioni cerebrali di monoammine, nonostante le più elevate concentrazioni plasmatiche e cerebrali di fenilalanina, e ha portato a concentrazioni di Phe nel cervello paragonabili a quelle di una dieta ad apporto di fenilalanina semi-ristretto. I risultati ottenuti sui topi potrebbero quindi suggerire – conclude l’esperto – che anche nei pazienti con PKU un trattamento con LNAA non necessiterebbe di essere abbinato a una dieta a basso contenuto di fenilalanina. Ulteriori studi sono però necessari prima di escludere la dieta nei pazienti con fenilchetonuria classica in terapia con aminoacidi neutri.”